n. 3 Luglio-Settembre 2008 - Arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie
     
 
Periodico trimestrale d'informazione sulle Cause di Canonizzazione del Servo di Dio sac. Raffaele Dimiccoli e del Servo di Dio sac. Ruggero Caputo
 

Settantacinque anni dalla nascita
di suor Maria Immacolata Daloiso

Si è offerta con Gesù, vittima e sacerdote


Se è vero, come afferma il grande filosofo Soren Kierkegaard, che l'annuncio cristiano non è comunicazione di
idee ma piuttosto comunicazione di esistenza, suor Maria Immacolata Daloiso, con la testimonianza di vita, ne è una prova credibile.
Suor Immacolata, al secolo Benedetta Daloiso, nacque a Barletta il 6 agosto 1933 e l'8 agosto fu battezzata nella parrocchia di San Giacomo Maggiore. Educata cristianamente in famiglia nel solco dell'Azione Cattolica - all'interno della quale assunse la responsabilità di Delegata delle Piccolissime e in seguito delle Beniamine - cominciò a sentire precocemente la chiamata a seguire più strettamente il Signore. Fu decisivo l'incontro con il servo di Dio don Ruggero Caputo, viceparroco della sua chiesa parrocchiale di San Giacomo Maggiore e apostolo dell'Eucaristia e delle vocazioni.
Sotto la lungimirante guida di questo santo sacerdote - che nel suo intenso apostolato vocazionale ha indirizzato circa 200 vocazioni alla vita religiosa, sacerdotale e di consacrazione verginale nel mondo - Benedetta nel 1954 fu pronta per partire tra le Benedettine Cistercensi di Nepi, nel Viterbese.
San Benedetto, padre del monachesimo occidentale, a riguardo dell'accettazione in monastero di nuove leve, nella sua Regola esorta l'abate a discernere attentamente se questi “cercano davvero il Signore”. Nella lettera di presentazione che don Caputo indirizzò alla Madre Abbadessa, notiamo alcune sottolineature che sembrano quasi una profezia circa il futuro orientamento di vita della giovane postulante: “Lei - scrive all'Abbadessa - avrà cura di portare a Gesù questa cara anima che la seguirà per la verginità e per il martirio. Assistetela maternamente specie i primi giorni. Vedrete che farà bene”. Infatti, Benedetta trascorrerà con docilità il più della vita terrena nel “servizio divino” all'interno delle mura del suo amato Claustro, vivendo la sua consacrazione verginale “cercando il Signore con tutto il cuore” e facendo della sua vita un dono per i fratelli che si trasformerà in offerta costante, fino al martirio.
Quest'ultimo risvolto della sua vocazione si accentuerà nella primavera del 1964 quando si offrì vittima al Signore per la santificazione dell'umanità e dei sacerdoti. Fu particolarmente per questi ultimi che consumò la sua vita e l'occasione le fu data quando, in prima persona, constatò la fragilità di alcuni di essi e le conseguenze devastanti che tali cattivi esempi potevano riflettersi sui fedeli. Da allora suor Immacolata cominciò a salire il calvario immolandosi con Gesù, vittima e sacerdote, “pro mundi vita” (Gv 6,51).
Una lenta malattia causata da forte asma bronchiale e, in seguito dal cancro al seno, l'accompagnò per tutto il resto degli anni. Quando le sofferenze si facevano più lancinanti osava dire: “Gesù, colpisci più forte! Per ogni fitta salva un sacerdote.
Non lasciartene sfuggire neppure uno!”.
La sua vivacità e allegria non faceva trapelare niente all'esterno, anche perché aveva chiesto: “Fammi soffrire di notte quanto vuoi, ma di giorno fa che possa mantenere i miei impegni!”. Le notti insonni - non potendo restare a letto per l'intenso dolore che portava nel suo corpo - spesso erano vissute ai piedi di Gesù Eucaristia, suo unico sostegno, mentre al mattino le consorelle raccoglievano il suo costante sorriso e la sua piena disponibilità in tutto.
Confidava all'Abbadessa, madre M. Metilde Contessa, unica depositaria del suo segreto: “voglio soffrire sola con Dio, voglio consumarmi come una candela…
Offro tutto per i sacerdoti e per i peccatori. Mi sento di essere madre di tutti i sacerdoti. Li tengo tutti presenti”. Ma chi era il movente di tale generosità?
Confiderà: “per me Gesù è tutto.
Ne sono innamorata pazza; lo sento sempre vicino. Più soffro e sto sola più ne godo. Gli parlo, gli dico tante cose e quando i dolori sono più forti sembra che mi dica: "Vieni, vieni!". Allora vado in coro, prego e lo sento vicino a me”. Con il progredire della malattia il grande rammarico fu quello di non poter essere utile alla Comunità, tuttavia si rincuorava dicendo: “il Signore mi ha fatto comprendere che ormai non vuole da me alcun lavoro, il mio lavoro è il soffrire”.
I medici che la visitavano restavano edificati perché, per lo stato avanzato del male avrebbe dovuto spasimare, invece era lei per prima a dare coraggio al personale sanitario e alle consorelle che l'assistevano. Anzi, durante le medicazioni suor Immacolata aveva la forza di scherzarci sopra.
Chiese alle consorelle che il suo funerale fosse vissuto in un clima di festa perché si trattava delle nozze finali col suo Amato Sposo: “Non voglio la Messa da morto, ma la Messa di Alleluia, cantata a suon di chitarra”.
Il 19 maggio 1985, solennità dell'Ascensione di Gesù al cielo, suor Maria Immacolata andò incontro al Signore, dopo circa 60 giorni di agonia. Durante la santa Messa esequiale non a caso la sua bara fu circondata da 15 sacerdoti, da coloro che erano stati l'oggetto principale della sua offerta e del suo martirio.
Il suono delle chitarre dei giovani e i canti gioiosi che i tantissimi fedeli innalzarono, crearono un clima di armonia celeste. “Mi sembra di andare ad una grande festa”, pronunciò prima di morire.
E così fu. Aveva raggiunto il suo traguardo: “Non c'è amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici!” (Gv 15,13).
Nell'anno 2000 le cistercensi del Monastero romano di Santa Susanna hanno accolto tra le loro mura le ultime consorelle nepesine di suor M. Immacolata Daloiso e l'intera federazione delle monache cistercensi d'Italia si è fatta carico dell'eredità spirituale e del “segreto” della riuscita vocazionale di questa umile, grande figlia del Santo di Norcia che, con la sua testimonianza di vita, rende ancora attuale l'esortazione benedettina “ut in omnibus glorificetur Deus”.

don Sabino Lattanzio.

Sito a cura della Commissione Cultura e Comunicazioni Sociali dell'Arcidiocesi.
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