Anche a Mons. Dimiccoli è stata intestata
una via nella città eterna
In prossimità del 5 aprile,
53° anniversario del
beato transito di mons.
Angelo Raffaele Dimiccoli,
condivido con voi lettori la
lieta notizia pervenutami
nel gennaio scorso, circa il
parere favorevole, espresso
dalla Commissione Consultiva
di Toponomastica
del Comune di Roma, dell’inserimento
del nominativo
del servo di Dio mons.
Dimiccoli nell’elenco delle
vie a denominarsi.
Perché una via a Roma
intestata al nostro Servo di
Dio? Prima di tutto perché
è stato un cittadino italiano
che, per di più, si è distinto
con generosità, disinteresse
e sacrificio al bene dei
fratelli: dai più piccoli ai
più grandi. Le opere da lui
realizzate parlano da sé!
La città di Roma, a cui
mons. Dimiccoli era molto
legato non solo perché
cuore della Chiesa Cattolica
ma in ricordo degli anni
ivi trascorsi in Seminario, ha usufruito indirettamente
della sua prodigalità,
in virtù dell’azione
benefica di tante religiose,
religiosi e sacerdoti
da lui formati che hanno operato e continuano ad
operare in “benemerite
istituzioni assistenziali ed
educative a favore della
popolazione di quartieri
della Città Eterna e del
Lazio”(1). Di questi suoi figli
spirituali egli ne andava
fiero e, grazie alla loro
azione, spaziava in tutto
l’Orbe, realizzando l’ansia
missionaria di Gesù racchiusa
nel Padre nostro: “Venga il tuo Regno”. Così
si esprimeva in una lettera
indirizzata il 20 agosto
1932 alla sua discepola
Addolorata Rizzi, entrata
tra le Suore d’Ivrea: “…
mi sento di essere un padre
felice di una sì grande
famiglia che quantunque
abbia parecchi membri
sparsi pel mondo hanno
un medesimo palpito:
Gesù; un medesimo ideale:
l’Apostolato; una medesima
corda: l’Unum di
Gesù nell’ultima Cena”.
Mons. Dimiccoli si recava
a Roma per il disbrigo dei
suoi obblighi inerenti alla
responsabilità di direttore
del “Nuovo Oratorio San Filippo
Neri per la redenzione
dell’infanzia abbandonata”,
di vicario generale per
l’Arcidiocesi di Barletta-Nazareth e di fondatore di
tante altre istituzioni, non
ultima quella del “Villaggio
del Fanciullo” , da lui voluta
dopo la Seconda Guerra
Mondiale per gli orfani e per
ragazzi in difficoltà. Inoltre
le sue soste romane servivano
anche a rinfrancarlo
nello spirito. Qui immancabilmente
si recava alla
tomba di san Pietro per essere
confermato nella fede,
e presso la tomba del suo
modello di vita sacerdotale
e di apostolato, san Filippo
Neri. Se aveva possibilità
di tempo, non faceva mai
mancare una sua visita paterna
ai suoi figli e alle sue
figlie spirituali.
mons. Savino Giannotti
Vicario Generale |