DON RUGGERO CAPUTO
E LA MISTICA GEMMA GALGANI
il coraggio di perdere la vita e ritrovarla
Il sacerdote barlettano, il servo di Dio don
Ruggero Caputo (1907-1980), alla scuola del
suo maestro, il servo di Dio mons. Raffaele Dimiccoli,
fin dai primi anni della sua giovinezza
fu fortemente attratto da santa Gemma Galgani,
soprattutto dal momento in cui cominciò a maturare
la vocazione al sacerdozio. Entrando in
seminario all'età di 19 anni, per tutto il periodo
di formazione, oltre a leggere costantemente
la biografia e gli scritti della santa Mistica lucchese,
amava ricordare che “una sua immagine
mi ha sempre vegliato” sulla sua scrivania, così
come fissò nei suoi appunti. Molti “miracoli”
della grazia che egli andò continuamente sperimentando,
li attribuì volentieri all'intercessione
di santa Gemma.
Nel 1937, con l'ordinazione sacerdotale, il Signore
andò prospettando sempre più chiaramente
a don Caputo la missione a cui lo chiamava: “apostolo della verginità consacrata”. Sotto la
sua guida, infatti, maturarono oltre una decina di
vocazioni sacerdotali, circa centocinquanta religiose
e una cinquantina di giovani attratte alla
consacrazione verginale nel mondo. A tutti propose
l'esempio di vita di santa Gemma Galgani,
con la quale ebbe in comune l'amore appassionato
verso la Santissima Eucaristia e il Crocifisso.
Durante un soggiorno per le cure termali presso
Montecatini Terme, risulta che, don Ruggero abbia
raggiunto la località toscana di Lucca, spinto
dal desiderio di pregare sulle spoglie mortali del
suo Angelo Tutelare per affidare a lei le intenzioni personali e la perseveranza del suo “piccolo
gregge”.
Don Ruggero Caputo nel portare avanti il suo
apostolato di “coltivatore di gigli”, nonostante
gli abbondanti frutti del suo ministero sacerdotale
fossero sotto gli occhi di tutti, fu duramente provato da umiliazioni e incomprensioni. Venne
snobbato con l'epiteto “u zappaturìcch”, che
evidenziava le sue origini di vecchio contadino,
buono - secondo i più - solo a zappare la terra.
Ma egli non si perse mai d'animo perché aveva
indossato non solo i panni ma l'anima di prete,
divenendo esempio di convinto assertore dell'irriducibilità
del Vangelo alla mentalità mondana.
Così spese tutte le proprie energie per dissodare il
terreno per l'edificazione del Regno di Dio sulla
terra e per la crescita e la difesa del gregge, calcando
le orme della cara Santa stigmatizzata di Lucca.
Anche lei, infatti, in vita era stata ridicolizzata tanto
che le ragazzine del rione avevano come passatempo quello di andare a vedere Gemma durante
le sue estasi per poterla prendere in giro. Persino la
maggioranza dei lucchesi la considerava una “scemetta”.
È lo scotto che pagano coloro che vogliono
seguire Gesù senza mezze misure.
Lasciato solo, come la “povera Gemma”, nel
combattimento spirituale, il “povero, piccolo prete”
si inabissò nella preghiera, accettando di condividere
con lo Sposo Divino l'abbandono del
Getsèmani, l'amarezza della condanna e la solitudine
della crocifissione. Nel momento culminante
della notte oscura dello spirito don Ruggero,
profondamente prostrato, dal 18 al 27 agosto
1952 sosterà a Vico Equense (Na) nella casa dei
Gesuiti per un corso di Esercizi Spirituali: “Mio
Dio, come è triste quest'opera - scriverà nei suoi
appunti - Sono schiacciato da tutti e la preghiera
che più mi consola è quella che Tu facesti sulla
croce per me: "Dio mio, Dio mio, perché mi ha
abbandonato?". Perché io sento anche l'abbandono
Tuo, mio Gesù, che tanto, oh! tanto mi pesa.
In questo tempo io sono tentato contro la pietà,
contro la fede e contro l'Apostolato. [...] Oscurità
sul presente e sull'avvenire; l'avvenire mi schiaccia,
ho trascorso quasi due mesi disfatto sotto il
peso d'uno stato quasi continuo di tristezza e di
pena d'animo e il mio fisico si è accasciato maggiormente,
e questo sotto l'incalzare di avvenimenti
dolorosi: cacciato quasi dalla Parrocchia,
cacciato io e i miei figli spirituali dalle Suore (di
cui era cappellano), a me si è negato financo di
pregare in cappella, le figliuole cacciate dalla
Santa Messa, abbandonato dai miei superiori.
In questo patire intimo mi sono sempre ricordato
dell'abbandono di Gesù nel Getsèmani”.
Anche gli ultimi mesi della sua vita furono
segnati dalla prova, vivendo una dolorosa malattia
nello spirito di offerta. A una figlia spirituale
recatasi a fargli visita in ospedale, don Caputo
disse: “Ora devo compiere la mia parte. Come
dice san Paolo: "Completo nella mia carne ciò
che manca ai patimenti di Cristo, a favore del
suo Corpo che è la Chiesa”. Il suo sacrificio terreno ebbe compimento la
sera del 15 giugno 1980. Da
quel momento la sua testimonianza
di vita è rifulsa in
tutto il suo splendore, uscendo
dal silenzio e dal nascondimento.
È stato necessario
che don Ruggero chiudesse
i suoi occhi affinché gli altri
li aprissero su di lui!
Tra le tante figlie spirituali
che dietro la sua guida
si sono distinte nel cammino
di santità, ricordiamo
Mariettina Doronzo (1921-
1969). Dotata di grande carità
e semplicità evangelica,
con la sua dolcezza e prudenza
si fece apostola tra
le coetanee, divenendone
sorella e guida. Di profonda
vita di unione con Dio
fu portatrice di pace e in
qualsiasi circostanza seppe
sempre elevare il tono, riconducendo
tutto a Gesù. Dietro l'esempio del
suo inseparabile direttore spirituale, questa umile
creatura prese a modello di vita santa Gemma,
offrendo tutta se stessa per la salvezza delle anime,
accettando una lunga e lancinante malattia
velando le atroci sofferenze dietro un celestiale
sorriso, che sempre l'aveva contraddistinta.
Si preparò alla morte, vissuta come il “giorno
dell'incontro con lo Sposo” e, per l'occasione,
volle confezionato un abito bianco “sul modello
di quello indossato da santa Gemma sul letto
di morte”, desiderio espresso anche da Veronica
Bizzoca (1928-1995), altra figlia spirituale
del servo di Dio don Caputo, anima semplice,
pura e dolce, amante della preghiera. Così don
Ruggero annunciò alle sue figlie spirituali Benedettine
di Alatri la morte di Mariettina Doronzo: “Morì come muoiono i santi, serena, sorridente.
Le potevo parlare di morte
come se fosse uno scherzo;
le chiedevo quando e il
quando fu come mi aveva
promesso. Queste cose mi
commuovono e tante volte
piango ai piedi di Gesù per
i miei peccati e anche per
la santificazione, la santa
perseveranza di tutti i miei
figli consacrati”.
Il 9 settembre 2007,
durante la Concelebrazione
Eucaristica presieduta
nel Duomo di Santo Stefano
a Vienna, il nostro
amato pontefice Benedetto
XVI così si espresse: “Egli
(Gesù) chiama delle persone
a contare esclusivamente
su di Lui, a lasciare
tutto il resto e ad essere
totalmente a sua disposizione
e così a disposizione
degli altri: a creare delle
oasi di amore disinteressato in un mondo, in cui
tanto spesso sembrano contare solo il potere e
il denaro.
Ringraziamo il Signore, perché in tutti i secoli
ci ha donato uomini e donne che per amor Suo
hanno lasciato tutto il resto, rendendosi segni luminosi
del Suo amore! […] Queste persone con
l'intera loro vita, sono diventate un'interpretazione
della parola di Gesù, che in loro si rende
vicina e comprensiva per noi. E preghiamo il
Signore, affinché anche nel nostro tempo doni a
tante persone il coraggio di lasciare tutto, per essere
così a disposizione di tutti”.
Che la luminosa testimonianza di vita del servo
di Dio don Ruggero Caputo e di santa Gemma
Galgani contagi gli uomini di oggi nell'affascinante
avventura della sequela Christi.
S.A. Lattanzio |