Penso che sia giunto il momento
di presentare la figura di suor Pia Raffaella della Regina degli Apostoli, al secolo Addolorata Rizzi, prima collaboratrice del servo di Dio mons. Raffaele Dimiccoli, deceduta
25 anni fa, l’8 gennaio 1983.
Nata a Barletta il 20 aprile 1904 da una famiglia religiosissima
e distinta, fu avviata fin da piccola alla vita parrocchiale
in San Giacomo Maggiore, dove conobbe il viceparroco don Dimiccoli che, nel pieno del suo entusiasmo giovanile, andava incrementando l’Oratorio
San Filippo Neri a favore degli adolescenti e dei giovani. Il Servo di Dio, appena la conobbe,
fissò subito lo sguardo su questa creatura, scoprendone
le doti di mente e di cuore e la valorizzò inserendola nelle diverse attività parrocchiali.
Quando nel 1924 si trattò di lasciare la amata San Giacomo
per emigrare in una zona periferica di Barletta per la fondazione del “Nuovo Oratorio San Filippo Neri per la redenzione dell’infanzia abbandonata” e il riscatto di quella popolazione povera ed emarginata, Addolorata seguì, senza esitazione, il suo padre e maestro. Essendo una giovane colta e intraprendente (aveva conseguito la maturità magistrale),
il “Direttore” la mise a capo dell’Oratorio e, in mezzo ai ragazzi e ai giovani, divenne l’anima di ogni iniziativa, a partire dalla catechesi, alla preparazione
delle recite, ecc…
Intanto nella signorina Rizzi
maturavano germi di vocazione
alla vita religiosa. In verità don Raffaele l’avrebbe voluta a fianco a sé, consacrata nel mondo per la causa oratoriana
a cui si era tutto dato; ma questo santo sacerdote, leggendo i segni della volontà di Dio, accompagnò con la sua benedizione la sua figlia nella grazia che nel gennaio 1932 entrava tra le Suore di Carità dell’Immacolata Concezione, dette d’Ivrea. Il 12 agosto dello stesso anno Addolorata fece ingresso nel Noviziato di Burolo, prendendo il nome di Raffaella, in segno di gratitudine
verso il suo indimenticabile
don Raffaele. Dal 1933 fu missionaria a Bengasi (Libia), svolgendo l’attività di insegnante
di scuola elementare e, sempre in questa città, dal 1939 prestò assistenza negli ospedaletti
da campo fino al 1941, anno in cui rientrerà in Italia per continuare la sua missione di insegnante e di apostola. Donna volitiva, intelligente e di grande dinamismo, ovunque
ha operato ha lasciato il suo bellissimo ricordo, e pur se lontana dall’“amato Nido” non spezzò mai i suoi stretti legami di origine.
Don Raffaele, dal canto suo, non mancò di tenerla presente per via epistolare di tutto ciò che avveniva all’Oratorio. Stralciamo dall’epistolario
del Servo di Dio. È il 10 gennaio 1934: “Mia carissima Suor Pia Raffaella,… Vuoi conoscere qualche cosa del nostro fracasso? A quello di prima aggiungi due anni di corsa vertiginosa verso la meta: ecco tutto. Si va, con la grazia del Signore e della Mamma. Le nostre manifestazioni si succedono in tutte le forme anche le bizzarre. La rappresentazione natalizia con tre bozzetti si è ripetuta tre volte: 1°, 4, 6 gennaio. Domenica prossima 14 c.m. mi si darà il dramma S. Cecilia, dopo 15 giorni i giovani daranno Tempesta di Anime, poi S. Lucia, poi Charitas Christi vincit, poi S. Quaresima. Poi?... Domenico Savio, S. Giuseppe e finalmente la nuova festa a S. Giovanni Bosco che sarà canonizzato
il giorno di Pasqua a Roma e subito dopo acclamato e festeggiato
nel nostro Nido. E poi?... e poi maggio e poi ecc. Tu con noi con la preghiera, con l’azione e col sacrificio. La promessa fattami di offrirti al Buon Gesù anche per noi tutti non la scordare: di quante grazie abbiamo bisogno in questo lembo di terra abbandonata! Che Gesù sia sempre con me costretto dalle ripetute donazioni dei miei figliuoli anche se di posto lontani. N’è vero? Tutti e tutte ti augurano
sempre più fedeltà alla Santa Vocazione; ed in questi auguri distingui anche quelli di papà, della sorella e nipote. Ti benedico di cuore”.
Visse gli ultimi quattro anni di vita nella casa religiosa di San Ferdinando di Puglia, nell’umiltà, nel nascondimento e nella continua preghiera ai piedi del Tabernacolo, fedele agli insegnamenti ricevuti dal suo caro Direttore. Di lì andò incontro al Signore l’8 gennaio 1983, congiungendosi alla sorella
missionaria francescana di Maria, suor Maria Nicoletta, e al fratello cappuccino padre Roberto.
Come già detto, suor Pia Raffaella portò sempre con sé il ricordo dell’Oratorio che accompagnò con la preghiera e con l’affetto. I suoi alunni oratoriani
(molti dei quali divennero
sacerdoti) la ricorderanno sempre con grande riconoscenza.
Così l’ha definita il rogazionista
p. Sabino Cafagna: “Era un’anima pia di nome e di fatto, ma molto semplice, perché Dio viveva
in lei”. In seguito alla sua morte, durante il rito esequiale, un altro di essi - il rogazionista p. Giuseppe Borraccino - ebbe a dire pubblicamente: “A lei devo la mia vocazione di sacerdote e di religioso, è stata lei che mi ha raccolto dalla strada sporco con i piedi nudi; con le sue amorose cure ha fatto di me, con l’aiuto di Dio, un cristiano, un sacerdote, un apostolo e missionario”.
Suor Pia Raffaella è stata tra le più tenaci promotrici delle celebrazioni del 25° di morte di mons. Dimiccoli e fino all’ultimo,
per quanto le fu possibile, ha caldeggiato l’introduzione della Causa di Beatificazione e Canonizzazione del suo santo padre spirituale.
Di lei, a riguardo, conserviamo
alcune testimonianze scritte, tra cui quella inserita nella documentazione processuale, spedita da Trinitapoli il 10 settembre 1981 (dal timbro postale).
Don Sabino Lattanzio
Postulatore diocesano
Suor
Maria Carla Sfregola “piccola crocifissa”
formata alla scuola di don Ruggero Caputo
Ricorrono dieci anni dalla morte di suor Maria Carla, al secolo Rosa Sfregola, figlia “prediletta” del servo di Dio don Ruggero Caputo, nata a Barletta il 21 febbraio 1927.
Autentica discepola, seguì
senza esitazione le orme del Maestro divino mantenendo
fisso lo sguardo su di Lui fin sulla croce. VedendoLo
offrirsi come vittima al Padre per la salvezza dei fratelli capì la Sua passione d’amore e, raccogliendosi in questa grande visione della carità del Cristo, volle donarsi
come Lui.
Andò incontro al Signore il lunedì 23 marzo 1998, dopo 20 anni di dialisi, oltre 30 interventi chirurgici e, infine, dopo un dolorosissimo tracollo iniziato, il mercoledì precedente la morte, con una fortuita rottura del femore.
All’età di dieci anni aveva conosciuto don Caputo nella parrocchia di origine, San Giacomo Maggiore, e questo santo sacerdote, scorgendo in lei segni di vocazione, la coltivò fin da allora come un fiore di serra.
Da lui mutuò un profondo spirito di preghiera
tanto da divenire anima privilegiata. Il 21 giugno 1982, ad appena due anni dalla morte del Servo di Dio, suor Carla è stata la prima a rilasciare una testimonianza sulla santità di vita del caro “Direttore”. Ne riportiamo uno stralcio: “[don Ruggero] voleva ad ogni costo imprimere in noi l’adorazione a Gesù Eucaristico. Lui passava delle ore inginocchiato sulla nuda terra davanti al Santissimo e così voleva le sue figlie. Dopo la santa Messa faceva il suo ringraziamento sempre in ginocchio per terra nella cappella
del Santissimo. Tanto era immerso in Dio da sembrare un Serafino… Questo mi attirava tanto che, anche a costo di essere sgridata dai miei, correvo
a tutte le Funzioni che si tenevano in parrocchia”.
Di carattere sensibile e amabile, Rosina era il simbolo
della purezza e della semplicità evangelica. Il suo sorriso contagiava anche chi la incontrava una sola volta. Le amiche di Barletta la ricordano piena di vita e di gioia, affabile e delicata, prudente e molto premurosa, capace di dimenticarsi pur di far felici gli altri. Per queste virtù, velate da una straordinaria umiltà, fu ricercata da tutti.
Il 2 febbraio 1945 emise per la prima volta, privatamente, il voto di castità e dopo una prima breve esperienza di vita religiosa, vissuta tra dolorose
prove e incomprensioni, il Signore la volle tutta sua nel monastero benedettino di Santa Maria de’ Franconi di Veroli (Fr). Il Servo di Dio, indirizzandola in questo luogo, le disse: “Ti farai santa solo guardando il panorama; è un incanto!”. Suor M. Carla, entrata nell’ottobre 1956, portò verso questo sacro Cenobio profondo amore e attaccamento,
sentendolo sempre come la sua casa.
La comunità monastica, infatti, fu la sua famiglia e all’interno di essa diffuse continuamente gioia e serenità. Anche quando a causa della dialisi fu costretta a lasciare l’amata clausura per raggiungere tre mattinate alla settimana l’ospedale, schiava
di quella macchina che la manteneva in vita, sofferente tra i sofferenti divenne l’angelo
consolatore, consolando con la stessa consolazione di Cristo. Quanti ha convertito e ha salvato dalla disperazione del dolore! Durante quelle ore coinvolgeva nella preghiera gli ammalati con i quali ha condiviso
il calvario per lunghi anni. Tra le invocazioni preferiva quella appresa fin da piccola dalle labbra del suo padre spirituale
don Caputo: “O Gesù, quest’oggi, mentre io lavorerò e soffrirò, intendo di essere con Te presso tutti i Tabernacoli del mondo in ispirito di amore, di adorazione, di riparazione e di ringraziamento”.
Lo stesso don Ruggero Caputo,
a conoscenza delle condizioni
precarie della sua amata figlia nella grazia, non mancò di sostenerla per via epistolare (le lettere a lei indirizzate sono tra le più belle). E tante volte la raggiunse in Monastero.
Il venerdì 20 marzo 1998, pochi
giorni prima di morire, ebbe a dire alla madre abbadessa che amorevolmente l’assisteva: “Madre, chiedo scusa se in tutti gli anni di monastero con la mia malattia ho dato solo fastidio!”. “Maria Carla - rispose la Madre con tono scherzevole, per nascondere
la commozione - se lo ripeti un’altra volta ti sconto quello che non ti ho fatto fino ad ora!”. Mirabile
testimonianza di umiltà, di carità fraterna e di delicatezza senza eguali! Di fatto non è stato così. Testimoniano le consorelle che suor M. Carla in comunità non ha mai fatto pesare la sua malattia: “Se faccio la spola vuol dire che il Signore si ricorda di me, mi pensa e mi vuole bene!”. Ogni qualvolta tornava dall’ospedale,
anche se spossata, subito si rendeva utile, mettendo a frutto le qualità di cui il Signore l’aveva
dotata (aveva mani d’oro nel cucito e nel ricamo!).
Dice di lei l’abate emerito della Badia di Cava de Tirreni, Michele Marra, ultima sua guida
spirituale: “Chi avesse visto suor Carla (a me è capitato tante volte) di ritorno dall’ospedale, riprendere il suo posto in comunità,
nel coro per la preghiera, nel laboratorio per il ricamo, non poteva non rimanere colpito nel notare la sua serenità, la sua pace, e diciamo pure, il suo brio nei momenti di sollievo, ai quali partecipava sempre con grande entusiasmo, pronta a dare il suo contributo perché quei momenti di distensione fossero veramente tali per le consorelle”.
La sua vita è stata tutta un’offerta. Con coraggio non si è mai fermata dinanzi alle difficoltà attingendo dalla costante
unione con Dio, al quale non antepose nessun’altra creatura e nessun altro affetto: è stata questa la forza che ha contribuito, nonostante tutto, a tenerla in vita in vista dell’incontro
finale faccia a faccia con il suo unico e sommo Bene.
S.L.
Ricorrono sessant’anni della morte della serva di Dio
suor Maria Chiara Damato

All’età di trent’otto anni, il 9 marzo 1948, moriva nel sanatorio “Cotugno” di Bari la serva di Dio suor Maria Chiara di S. Teresa di Gesù Bambino, al secolo Vincenza Damato. Era nata a Barletta il 9 novembre 1909 e fin da piccola frequentò la parrocchia della Sacra Famiglia rendendosi disponibile in qualità di catechista e di dirigente di Azione Cattolica. Sotto la guida del parroco don Sabino Cassatella all’età di diciannove
anni entrò “viva sepolta” tra le sorelle Clarisse di Albano Laziale per fare della sua vita un dono per la Chiesa. Ad essa seguirono nell’ideale
di consacrazione il fratello Gioacchino, divenuto sacerdote rogazionista, e una sorella, entrata tra le suore missionarie del Sacro Costato col nome di suor Maria Alfonsa.
Con la sua giovialità, la sua disponibilità e il suo spirito di preghiera suor Maria Chiara edificò le sue consorelle soprattutto in seguito agli stenti procurati dalle incursioni aeree della Seconda Guerra Mondiale che, nel 1944 bombardarono
il monastero uccidendo 18 monache. In quel frangente anche suor M. Chiara ne uscì gravemente lesa, tanto da contrarre la tubercolosi.
Qui l’offerta della sua vita raggiunse il culmine, orientandola in unione al sacrificio di Cristo, per la santificazione dei sacerdoti, per l’incolumità del Pontefice e per la salvezza degli uomini.
Il servo di Dio mons. Raffaele Dimiccoli ebbe modo di conoscere più da vicino suor Damato negli anni in cui frequentò il monastero delle Clarisse di Albano, in seguito all’ingresso di alcune sue figlie spirituali lì indirizzate. Di don Ruggero Caputo afferma suor Maria Isabella Delvecchio, figlia spirituale entrata tra le clarisse di Albano: “[don Caputo] Era anche innamorato della figura della nostra concittadina la serva di Dio suor Maria Chiara Damato che si è santificata nel nostro monastero di Albano, e, quando veniva a trovarci, spesso ce l’additava come modello di vita, esempio di amore e di fedeltà al Signore nell’ideale di consacrazione”.
Il prossimo 9 marzo, a sessant’anni dalla sua morte, Barletta ricorderà questa figlia privilegiata
presso la chiesa monumentale di San Gaetano durante la Via Crucis cittadina, in occasione della Solennità della Sacra Spina. Con questa ricorrenza si da inizio anche alle celebrazioni centenarie della sua nascita che culmineranno il 9 novembre 2009.